La solitudine del leader – Giovanni Senatore

L’importanza del gioco di squadra e dell’impegno individuale contro l’illusione del leader salvatore

Il leader

Il leader

Torino – L’Argentina ha perso il mondiale è colpa di Messi, l’Italia ha perso il mondiale è colpa di Balotelli ed è anche colpa di Prandelli; il PD ha vinto le elezioni è merito di Renzi, la Germania ha vinto il mondiale è merito di… già di chi è il merito? Chi è il fuoriclasse, il leader che ha permesso alla Germania di vincere il mondiale? Sarà l’allenatore? Sarà qualche giocatore fuoriclasse? O forse sarà il gioco di squadra? Sembra che da noi, e non solo da noi, non si riesca a fare a meno del leader, del condottiero che porta alla vittoria. Dell’unto del signore, di colui il quale ci porterà al di fuori dal guado. Di quella persona che può essere individuata e ammirata per il potere che noi gli abbiamo conferito e per le speranze che gli abbiamo messo in mano; ma si tratta della stessa persona che avrà tutte le responsabilità se il gioco andrà male, se la nazione andrà allo sfacelo. Sarà il colpevole della nostra sconfitta e del nostro declino e, quindi, una volta appurato l’ipotetico fallimento ci sentiamo in diritto di pretendere il leader che fino a ieri avevamo osannato e di appenderlo a testa in giù. Metaforicamente e non. Cosa sarà? Ignoranza, declino culturale, basso livello? Compito di sociologi e antropologi cercare di studiarlo e capirlo. Ritornando per un attimo con la mente agli ultimi mondiali di calcio, quella disputati in Brasile nel giugno – luglio appena trascorsi.
Concentrandoci sulla finale tra Argentina e Germania, possiamo provare a fare una riflessione. In campo vi erano due squadre. Forti entrambe. Con un gioco completamente diverso. Il gioco dell’una si basava sull’estro e sul talento individuale. I singoli elementi prendevano palla, scartavano, saltavano avversari, si avvicinavano pericolosamente all’ area avversaria e poi tiravano fuori o venivano fermati. Il gioco dell’altra si basava sul collettivo. Il cosiddetto: “gioco di squadra” costruiva le azioni attraverso passaggi mirati, schemi studiati e condivisi. Quale delle due ha espresso il gioco vincente è ormai nelle cronache. La finale potrebbe essere letta un po’ come la metafora della nostra società occidentale. In un ipotetico incontro tra modelli. Quello dei nordici d’Europa Germania in testa contro quello dei popoli latini Italia in testa. L’estro e la fantasia contro l’organizzazione, la serietà e la correttezza. Quest’ultima vince. Eppure noi latini sembra che non riusciamo a rendercene conto; ma se Prandelli ai mondiali fosse stato capace di miscelare i due modelli. Se fosse stato capace di imporre serietà e correttezza per inventare un gioco di squadra condiviso e generoso ed unirlo all’estro, la fantasia, le capacità di cui i nostri azzurri sono naturalmente dotati e a far costruire schemi di gioco dove saremmo arrivati? Forse è proprio questo il punto. Prandelli è italiano e come tale ha fatto quello che ha potuto, forse avremmo dovuto avere un CT tedesco avulso dalla mentalità latina ma con rispetto per le doti individuali. E volendo traslare sul piano politico la metafora, assimilando il nostro premier al CT della nazionale. Il nostro Renzi, il leader del momento, sarà più estro e fantasia o serietà e correttezza? E riuscirà invece a fondere i due modelli per creare una vera rinascita così come ci racconta quotidianamente con i suoi tweet? Lo scopriremo. Ci vorrà del tempo ma lo scopriremo. I in ogni caso la vera vittoria sarebbe quella di non addossare al singolo leader, in questo caso Renzi, la responsabilità di un eventuale fallimento ma di imparare finalmente a prendere su noi stessi le responsabilità del nostro destino prendendo parte, in maniera più attiva alla vita politica del nostro paese e nello smettere di credere alle favole e alle slides per poi disinteressarci completamente di cosa accade fino al momento di appendere a testa in giù l’ultimo leader di turno per poi affidarci al successivo più bravo a suonare il piffero magico del precedente in un continuo e perdurante gioco al declino. Giovanni Senatore

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